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venerdì 17 febbraio 2017

0 QUEL 17 FEBBRAIO 1977, QUANDO GLI STUDENTI ROMANI CACCIARONO LAMA DALL’UNIVERSITA’.

Una storia che va raccontata agli studenti di oggi.
L’anno ’77 iniziò un mese prima, il 3 dicembre ’76, quando Franco Maria Malfatti, ministro dell’istruzione, emanò la famigerata circolare che limitava la reiterazione degli esami, decretava l’aumento delle tasse, soprattutto per i fuoricorso, tre livelli di laurea (diploma, laurea, dottorato di ricerca), reintroduceva il numero chiuso, ecc..
Gli studenti reagirono subito. Il 24 gennaio ’77 a Palermo gli studenti occuparono la facoltà di Lettere, mentre dal 31 gennaio furono bloccate le attività didattiche presso le facoltà umanistiche di Torino, Cagliari, Sassari, Salerno. A Milano, Padova, Firenze, Pisa si tenevano le prime manifestazioni, sfilavano i primi cortei, si tenevano decine di assemblee. A Bologna, dove i collettivi universitari, sin dal mese di dicembre, avevano dato luogo a numerose iniziative di autoriduzione nei ristoranti di lusso, gli studenti si ritrovavano tutte le sere in piazza Verdi, dove davano luogo a cortei notturni, di 8/10.000 studenti, che sfilavano per le vie della città, fino alle 2 di notte. Eventi irripetibili.
Alle iniziative gioiose e ironiche del movimento bolognese, si contrapponeva una situazione romana, dove quasi giornalmente, squadracce fasciste del MSI, attaccavano gli studenti in lotta, con bastoni, spranghe e armi da fuoco.
Il 2 febbraio ’77, una squadra di una settantina di fascisti, entra nell’Università La Sapienza di Roma e aggrediscono un’assemblea di studenti. Respinti dai partecipanti, i fascisti esplodono numerosi colpi di pistola contro gli studenti. Guido Bellachioma, studente romano, viene gravemente ferito alla testa.
L’indomani, dopo un’assemblea d’ateneo che aveva deciso la risposta da dare ai fascisti, un corteo esce dall’università, scortato da un servizio d’ordine autodifeso, per garantire l’incolumità dei partecipanti.
In via Solferino, nei pressi di via Sommacampagna, mentre un gruppo di compagni si stacca dal corteo per andare ad attaccare la sede del Msi da cui erano partiti gli aggressori il giorno prima, vengono attaccati a colpi di pistola, in piazza Indipendenza, da alcuni uomini scesi da una 127 senza contrassegni. Erano poliziotti in borghese.
Nella sparatoria che ne segui, tra i poliziotti e il servizio d’ordine del corteo, restano feriti gravemente, due compagni, Paolo e Daddo e un poliziotto.
Il movimento risponde all’ennesima provocazione, con una grande manifestazione di 30.000 persone, che sfila per le strade della città.
Ugo Pecchioli, dirigente del PCI, attacca il movimento degli studenti, chiedendo alla polizia di chiudere le sedi dei collettivi. Una richiesta, che presto verrà messa in pratica direttamente dal PCI, che per riprendersi il controllo dell’università, utilizza la CGIL, per una iniziativa sindacale con la presenza di Luciano Lama, segretario generale.
Il 16 febbraio ’77, mercoledì, un’assemblea numerosissima del movimento all’università di Roma, discute come accogliere Lama: farlo parlare? Fischiarlo? Cacciarlo? L’assemblea alla fine decise di presenziare al comizio, subissarlo di fischi ma evitare lo scontro fisico. Una soluzione che andava bene a tutti e non creava problemi al movimento in una fase di crescita.
Quello che si materializza all’alba del 17 febbraio, supera ogni previsione.
Già alle 6, squadre dell’apparato della federazione del PCI romano, iniziano a cancellare con secchi e pennelli, tutte le scritte poste sui muri dagli studenti.
Poi, fanno entrare un camion, che verrà usato come palco, che viene posizionato al centro del piazzale della Minerva, circondato da un servizio d’ordine di oltre cento individui della federazione del PCI. Sul camion, si scoprirà poi, sono occultati, bastoni e un certo numero di estintori.
A qualche metro di distanza tutti gli altri: studenti e lavoratori dell’università, tra i due schieramenti una «terra di nessuno» tenuta sgombra grazie a una fila di servizio d’ordine del movimento che cercava di evitare il contatto col servizio d’ordine di Lama, cinque-sei metri indietro c’era il pupazzone con intorno gli indiani metropolitani la cui consistenza numerica andava man mano aumentando.
«È ora, è ora: miseria a chi lavora»; «Potere padronale»; «Andreotti è rosso Fanfani lo sarà»; «Più baracche meno case».
Lama inizia a parlare, per essere immediatamente fischiato dagli studenti.
Vola anche qualche palloncino ripieno di colore verso il camion.
E’ una contestazione, come tante ce ne sono state in quegli anni.
Ma il PCI non ci sta ad essere contestato. All’improvviso, i militanti del servizio d’ordine di Lama impugnano gli estintori, presi dal camion, e si lanciano contro le prime fila del servizio d’ordine del movimento che a stento riusciva a trattenere quanti premevano indignati. Al primo contatto, il cordone del movimento cede, e subisce le prime bastonate da parte dei militanti del PCI. L’aggressione dura poco, la reazione degli studenti è immediata e violenta. Il servizio d’ordine del movimento parte alla controffensiva, dietro ci sono tutti gli studenti, nessuno si tira indietro. E’ una grave provocazione a cui viene data una risposta dura e determinata. Gli studenti del movimento vanno all’attacco del camion, che viene devastato, mentre il servizio d’ordine del PCI, incalzato dagli studenti si da alla fuga, scappando fuori dall’università.
La foto di Lama che scappa dall’università, guardato a vista dai suoi guardaspalle, è l’immagine choc che campeggerà sulle pagine di tutti i quotidiani. Il PCI, che aveva voluto una resa dei conti con il movimento degli studenti, subisce una sconfitta politica incancellabile, che sancirà una rottura definitiva con i giovani, mai più risanata.
Il giorno successivo, venerdì 18, nella facoltà di Economia si tiene un’affollata assemblea del movimento che approva un documento sui fatti del giorno prima:
Nella mattinata il servizio d’ordine del Pci […] ha dato il via a gravissimi incidenti nel tentativo di schiacciare l’autonomia del movimento. Questa manovra è fallita per la reazione di massa degli studenti che hanno cacciato il servizio d’ordine del Pci e sono rimasti padroni dell’Università. […] Nel pomeriggio Cossiga, favorito dalla situazione, ha fatto prendere d’assalto l’Università da un imponente schieramento di Ps, riuscendo così a fare, grazie al Pci, quello che non gli era stato possibile nei giorni scorsi.
[…] Per quanto riguarda la lotta, il movimento non intende rinunciare ai suoi obiettivi centrali che sono: 1) ritiro del progetto Malfatti e di quello del Pci; 2) sciopero generale nazionale contro il governo per aprire un fronte di lotta nuovo e di massa sull’occupazione. Il movimento sa che questi obiettivi significano il rifiuto della politica dei sacrifici, della logica della compatibilità capitalistica rispetto alla crisi […]. Per queste ragioni l’assemblea generale decide: di intimare al governo lo sgombero dell’Ateneo, che deve funzionare come luogo di aggregazione autonoma dei giovani e l’allontanamento definitivo della polizia; di fare un manifesto cittadino che chiarisca le posizioni del movimento; di indire per sabato 19 febbraio, alle ore17 a piazza Esedra, una grande manifestazione cittadina e di massa, che verrà garantita dalle strutture di movimento; di invitare tutte le Università in lotta a un confronto nazionale sabato e domenica 26 e 27 febbraio a Roma.
[Dario Paccino, Sceemi, il rifiuto di una generazione, 1977]
Poi ci saranno l’11 e il 12 marzo a Bologna e Roma. Ma questa è un’altra storia.

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